Politica

BERLUSCONI E L'ITALIA GETTATA NEL FIUME CON UNA PIETRA LEGATA AL COLLO

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Quando cadde l'ultimo Governo di Romano Prodi mi trovavo a Buenos Aires. Appena sentita la notizia alla televisione argentina, mi precipitai in strada a comprare i giornali. La mia curiosità era quella di sapere cosa stesse succedendo in Italia ma anche cercare di capire come vedevano la politica italiana dal Paese sudamericano. Ad un chiosco, dalle parti della piazza principale, comprai i giornali. Mi colpì un commento sul Clarìn, uno dei principali quotidiani di centrodestra del Paese, a firma di Claudio Mario Aliscioni. Il pezzo s'intitolava: "Contraddizioni". Con curiosità sempre crescente lessi il breve commento...

"La saga del governo Prodi riflette le contraddizioni dell'Italia – scriveva Aliscioni -. Dopo i cinque anni del conservatore Silvio Berlusconi, l'economia è rimasta stagnante. Il premier oggi rinunciatario (Romano Prodi n.d.r.) ha dovuto risanare i conti pubblici che la destra aveva ferito. Ma la gestione della "sinistra" è stata impopolare. Benché facesse crescere il Paese, gli sono mancate iniziative dosate in favore dei settori più influenzati dalla concentrazione economica. Ora, la destra si propone come salvatrice. L'Italia - un paese sempre di più conservatore - forse tornerà a votare lo stesso Berlusconi che la spinse nel fiume con una pietra legata al collo". Mai commento giornalistico è stato più profetico. Oggi, dopo tre anni di nuovo al Governo, pare che Berlusconi abbia finito il lavoro. Resta da capire se l'Italia è affogata, trascinata giù dalla pietra al collo che cita Aliscioni, oppure ha ancora un po' di fiato per ritornare a galla.
La cosa che colpisce è la sorta di corto circuito, gioco degli equivoci o "contraddizioni", in cui si ritrova il sistema italiano. Allora era difficile spiegare agli italiani come stessero effettivamente le cose perché c'era un sostanziale scollamento, che oggi sembra svanire, tra la realtà: quella dei mercati, dell'impresa, della gente comune; ed il sogno patinato propinato dai media e dalla futura maggioranza di governo. Il centrosinistra di Prodi stava risanando i conti ed aveva chiamato gli italiani ad assumersi le proprie responsabilità anche con scelte dure quali la tracciabilità dei conti correnti e l'obbligatorietà con metodi bancari delle transazioni superiori ai 300 euro. Cosa non gradita a buona parte del sistema economico italiano, sopratutto a quello che vive di sotterfugi, ma che avrebbe ridotto drasticamente l'evasione fiscale. E così tutti a votare Berlusconi che prometteva mari e monti ed è naufragato sullo scoglio delle sue bugie populiste. La verità è che il Paese non è mai stato così vicino all'orlo del baratro. "Il re è nudo". Ma il corto circuito non esiste solo nella percezione della politica, esiste anche nella gestione della politica economica, a partire dagli aiuti alle imprese. Si sa il popolo italiano è un popolo di furbi e le buone intenzioni, spesso, finiscono sulla cattiva strada. Lo Stato sovvenziona le imprese con contributi a fondo perduto, ad esempio nella misura del 50% dell'investimento, il resto dovrebbe essere a carico dell'impresa. Gli "imprenditori" approfittano dell'occasione e fanno la domanda di finanziamento. Nel frattempo hanno stretto un accordo con i fornitori per ottenere fatture maggiorate del 50%. Morale della favola: mettono su un'impresa senza tirar fuori denari di tasca propria. L'impresa inizia la sua attività ed arriva sul mercato. Imprenditori senza spese di partenza, senza capitali di terzi da restituire, e forse con le spese di gestione ancora una volta finanziate dallo Stato, arrivano sul mercato con un prezzo stracciato dei beni o dei servizi, alterando in modo drastico i meccanismi della concorrenza alla base di un'economia di mercato. Così le imprese sane, che hanno investito propri capitali, finiscono fuori dal mercato perché non possono tenere il prezzo di concorrenti che non hanno speso un centesimo per l'avvio d'impresa. Poi arriva il discorso delle fatture gonfiate che creano un vorticoso ciclo perverso che gonfia i fatturati di flussi che non esistono. Ed il gioco è fatto!. Intanto l'imprenditore onesto ha due strade: o chiude, oppure si adegua ai metodi della concorrenza. Quindi, di fatto, lo Stato (quello che emana le leggi e si dovrebbe preoccupare di farle applicare) obbliga gli onesti ad agire in modo contrario alla legge se vogliono rimanere sul mercato.
Si parla tanto di evasione fiscale, ma intanto i meccanismi di controllo finiscono per gravare solo su chi ha un'impresa registrata. Chi lavora completamente in nero non finisce mai nella maglie dei controlli fiscali, grazie all'aiuto del contante che non è rintracciabile. E così, ancora una volta finiscono sul lastrico le imprese regolari, strette nella morsa dei concorrenti imprenditori disonesti da un lato e dagli abusivi dall'altro. A questo si aggiunge la ciliegina sulla torta: la tassazione minima per i piccoli imprenditori. Lo Stato, abdicando in partenza, stabilisce che per avere aperta un'impresa ci sono dei fatturati minimi sui quali pagare le tasse (come dire che è incapace di scovare gli evasori e decide per la scelta di fondo che sono tutti evasori). Applicando una logica assolutamente perversa si accomunano, tutti insieme, i piccoli imprenditori senza tener conto del contesto in cui operano. Così facendo si scoraggia la nascita di nuova piccola imprenditoria sopratutto nelle zone più povere del Paese dove c'è maggiore necessità di lavoro. Se questo non è un corto circuito, vuol dire che la pietra è affondata ed ha depositato sul fondo del fiume, insieme al Cavaliere, anche il cadavere dell'Italia.
Angelo Corvino