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Irisbus. Lo strano caso del socialismo democristiano. Si prospetta scontro generazionale

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FLUMERI (AV) - L'insediamento della Fiat Iveco in valle Ufita alla fine degli settanta fu salutato come il trapasso dalla civiltà contadina a quella industriale. Sponsorizzato dalla classe politica, era visto come il momento di riscatto della terra dell'osso. Oggi lo potremmo definire "lo strano caso del socialismo democristiano". Fu il tentativo di raggiungere la tanto agognata industrializzazione, senza rendersi conto che il momento storico ed il contesto erano paurosamente sbagliati. Da sempre, in una semplificazione, il modello socialista e quello occidentale si differenziavano sostanzialmente nelle

modalità operative della pianificazione industriale. Quello socialista prediligeva la creazione di industrie laddove c'era necessità di lavoro, quello occidentale, invece, premeva sull'individuazione dei siti rispetto al contesto geopolitico, in una visione aperta e concorrenziale del mercato. In Italia, però, si produsse uno strano ibrido. Da una parte la necessità della maggioranza di Governo di rintuzzare l'opposizione comunista sul suo stesso terreno, dall'altra il mondo del sindacalismo di sinistra che premeva per dare risposte ai disoccupati delle aree interne del meridione. Il risultato sono stati una serie di insediamenti industriali sulle montagne che non hanno retto allo scossone della globalizzazione. L'occupazione nel settore industriale, già allora, era in un periodo di declino. L'automazione dei processi era già una prospettiva che faceva capolino e non era difficile immaginare che la saturazione del mercato avrebbe portato all'ottimizzazione dei costi. Nonostante queste premesse gli insediamenti furono realizzati, con una massiccia immissione di denaro pubblico e conseguente clientelismo politico. Un sogno che è durato 30 anni e che per una generazione ha prodotto i suoi frutti. Oggi, però, si infrange sullo scoglio delle pianificazioni industriali internazionali e sulla posizione logistica, con l'aggravante della necessità da parte dello Stato di rientrare da un immenso deficit pubblico. La FIAT Industial, oggi diventata una multinazionale, fa i suoi piani e taglia fuori lo stabilimento di Valle Ufita. Un acquirente si fa avanti per rilevare l'impianto ma il prezzo da pagare, oltre alle incognite relative alla produttività dello stabilimento, è elevato. Nessuno, allo stato attuale, può garantire i 700 posti di lavoro. E si prospetta all'orizzonte un nuovo scontro generazionale. Oggi l'organico dell'azienda conta dipendenti con un'età compresa tra i 25 ed i 55 anni e si presenta lo spauracchio della roulette russa dei licenziamenti. Chi pagherà? La forza lavoro prossima alla pensione, che difficilmente troverebbe una ricollocazione lavorativa, o i giovani che su quel posto di lavoro avevano basato le loro speranze future?. Intanto il contesto socioeconomico è asfittico, quasi agonizzante. L'industria non è predominante sullo scenario, anche se gioca un ruolo rilevante. L'agricoltura, abbandonata a se stessa dal sogno industriale, è in ginocchio. I pochi operatori, sopratutto anziani, rimasti nel settore non trovano sbocchi sul mercato, anche perché la produzione è troppo frammentata e poco orientata alla qualità. Spiragli arrivano dal Turismo che, anche se non strutturato, è l'unica fonte di reddito per chi in agricoltura ha diversificato in agriturismo. Un capitolo a sé sono gli investimenti nel terziario avanzato. Ci sono, ma sono completamente ignorati sia dalla politica che dal contesto sociale. Eppure l'Irpinia se vuole salvarsi deve puntare decisamente sull'economia del Turismo enogastronomico, in prima battuta, e poi nell'economia dell'immateriale. Di giovani, in questo settore ce ne sono molti, anche bravi ma si sentono come pesci fuor d'acqua. Intanto si prospetta un altro autunno caldo nel tentativo di salvare i vecchi dinosauri. E tiriamo a campare!.