Politica

Ma a Montecalvo la collettività conosce la programmazione pubblica?

montecalvo_piazza_vittoria_185x115
MONTECALVO IRPINO (AV) - La vita amministrativa sembra essere assorbita per intero dalla vicende finanziarie e dalla riorganizzazione del personale. Due elementi sicuramente importanti ma che non sempre coincidono con tutti gli aspetti della vita amministrativa. Se da un lato la realizzazione delle opere pubbliche è direttamente correlata alla disponibilità di cassa, non si può dire la stessa cosa delle attività di programmazione

e di gestione del personale a breve e medio termine. La programmazione delle cose da fare, infatti, se in una fase di progettazione esecutiva necessita di risorse di cassa, non si può dire la stessa cosa nella fase di indirizzo amministrativo (che notoriamente spetta agli assessori ed ai consiglieri comunali). Oggi, all'opinione pubblica, i componenti dell'esecutivo non appaiono intenti a programmare le attività necessarie per l'andamento della comunità. L'URP non funziona. Eppure l'Ufficio Relazioni con il Pubblico rappresenta il punto di partenza nell'analisi moderna delle esigenze dei cittadini (che però vanno "educati" all'utilizzo dello strumento, fase questa forse ancora più delicata). E' lì che, facendo un parallelo con il marketing orientato al mercato, si sondano le esigenze dei cittadini-utenti. Da lì dovrebbero arrivare le informazioni sui servizi carenti, da lì dovrebbero arrivare anche le indicazioni sulle strutture di natura pubblica da creare per assecondare legittimamente le iniziative private. Tanto per fare un esempio, se i privati utilizzano frequentemente una strada in cattive condizioni e lo segnalano all'URP, si hanno le informazioni necessarie sulle cose da programmare. Altrimenti sarebbe il caso di promuovere, utilizzando il personale comunale, un'analisi dei flussi di traffico sulle maggiori arterie comunali, a seconda delle stagioni, sempre per avere i dati di partenza, da far valere anche in fase di programmazione sovracomunale, ammesso che qualcuno la metta in atto.
Comunque non è chiaro se, da parte degli amministratori, il difetto stia nell'inattivismo o nella scarsa comunicazione del loro operato. In entrambi i casi il risultato non cambia: i cittadini non sono informati su cosa programmano alcuni assessori e alcuni consiglieri.
Ma torniamo alla programmazione. Non appaiono chiare le linee di tendenza in materia di sviluppo economico della comunità.
L'agricoltura, che segna il maggior numero di imprese registrate, versa in uno stato critico. Alti livelli di indebitamento dovuti alla crisi di alcune colture ma anche all'incapacità degli operatori, vuoi per dimensioni troppo piccole delle aziende, vuoi per bassi livelli di scolarizzazione, di trovare nuovi canali di distribuzione. Ed anche qui, l'orientamento al mercato sembra scarso. Piuttosto che continuare a produrre solo quello che si è sempre prodotto, sarebbe il caso di analizzare il mercato mondiale, individuare le colture richieste e che hanno un alto valore aggiunto e capire quali di queste si adattano alla caratteristiche climatiche dei suoli agricoli montecalvesi, tenendo presente anche degli "intervalli" offerti dalle colture forzate. In questo caso si potrebbe programmare un'alimentazione di sistemi forzati con energie rinnovabili prodotte sul posto. Quindi se alla Malvizza, ad esempio, si rendesse opportuno impiantare colture in serra, si potrebbe pianificare un impianto ad energie alternative che fornisse l'energia necessaria per diverse aziende. Fatta l'analisi si dovrebbe provvedere a coltivare velocemente e bene quel prodotto, avendo la capacità di porlo nei mercati giusti. Tutto questo, da solo genera occupazione in settori legati alla conoscenza.  
Il settore agrituristico sconta lo stesso problema: non c'è programmazione. Non si definiscono itinerari seri, sulla base dei quali si possano programmare interventi finalizzati alla fruibilità turistica. Anche con cose semplici: una cartellonistica minale, piccoli aggiustamenti dei sentieri, fruibilità di qualche sito archeologico rurale. Anche qui, finora, si è sempre agito a macchia di leopardo. Si alzava un assessore e decideva di sistemare una fontana. Poi un sentiero, poi una piazza. Senza un filo logico, senza un itinerario. La definizione di itinerari turistici rurali e urbani, invece, sarebbe un gran bel passo avanti. Almeno si saprebbe che su una certa strada potrebbero passare potenziali turisti e si provvederebbe a metterla in ordine, magari programmando interventi urbanistici, sviluppando così le sinergie settoriali. Fatto questo occorre una valida attività di promozione del territorio finalizzata alla pubblicità del prodotto turistico. Poi vengono i livelli di intercettamento della domanda. A proposito, il mercato del turismo mostra segnali si flessione negli ambiti tradizionali, mare e grandi monumenti, e segnala invece una domanda potenziale ed embrionale nei settori "alternativi": trekking, beni culturali sconosciuti. In sostanza il consumatore si è stancato dei soliti posti che ha già visitato o dei quali è stato bombardato mediaticamente.
Il commercio. Qui la situazione appare desolante. Ovvio che con un settore primario agonizzante e con un secondario poco rappresentativo, il terziario ne risente. Soprattutto se quel terziario è solo di servizio alla comunità locale. E neanche tutta!. Basti pensare che molti cittadini delle aree marginali del territorio per i loro acquisti quotidiani preferiscono andare in altri comuni. Questo solo perché raggiungere quei comuni per loro è più agevole, veloce e meno rischioso. Inutile rimarcare ancora una volta la precarietà e l'assoluta inadeguatezza delle infrastrutture di collegamento. Sarebbe il caso di iniziare a convocare tavoli intercomunali informali sui quali discutere di questi temi? La è vita una lotta, se gli altri amministratori sono sordi e non partecipano, bisogna inchiodarli alle loro responsabilità attraverso i mezzi d'informazione. 
In tutto questo è difficile trovare il bandolo della matassa. Sicuramente è il risultato dei processi di urbanesimo riflessi nelle aree meno densamente abitate, ma questo non giustifica l'immobilismo. Il mondo cambia, si evolve e forse offre anche opportunità di rivincita, ma queste vanno coltivate e raccolte. E' forse il momento che i piccoli centri diventino davvero una comunità?