Una CITTA' ROMANA sepolta a PRATOLA di TRESSANTI

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Con questa scheda, anziché informare su ruderi affioranti dal suolo o su reperti archeologici in esso rinvenuti, illustriamo un luogo: il pianoro di Pratola, nella contrada Tressanti di Montecalvo Irpino, nel quale,

con grandissima probabilità, sorgeva una comunità romana fondata dopo la conquista definitiva dell’Irpinia da parte di Cornelio Silla (inizio del I° sec a.C.).
In verità, nel posto i ruderi esistono ma a una profondità superiore agli 80, 90 cm. coperti da terreno coltivabile. E vengono ai nostri giorni periodicamente messi in luce in pezzi dall’aratura a scasso profondo. Sono frammenti di laterizi in genere, e in passato erano anche lapidi incise da epigrafi latine. Le lapidi hanno raggiunto nel tempo, a partire dal ‘700, quando le tecniche colturali cominciarono a permettere l’aratura profonda, un numero considerevole (v. C.I.L., Lipsia, 1883, vol IX) anche se la maggioranza di esse o è stata accaparrata dai proprietari dei terreni (e portate nel capoluogo dove sono state usate in modo improprio per ornare muri, giardini o perfino per servire da gradino di cantina) o fatti scomparire non si sa per quale ragione. Un esempio recente è la scomparsa di una lapide che si trovava incastonata proprio sopra una fontana di Pratola (v..in questo sito la Lapide della Fontana di Pratola).

Per la formulazione della nostra ipotesi ci siamo avvalsi anzitutto della toponomastica storica, poi ovviamente del ritrovamento di reperti trovati in loco, e infine della geografia e della storia del paesaggio, tenendo conto soprattutto dalla rete di comunicazione viaria creata dai Romani per il superamento dell’Appennino con la costruzione della Via Appia (giunta ad Aeclanum nel 190 a.C.) e della Via Traiana (109-110 d.C.).
Le fonti letterarie coeve  ci sono servite soltanto per formulare l’ipotesi sul probabile fondatore dell’insediamento romano.
Nel rimandare per gli approfondimenti al testo: A.CACCESE – M.SORRENTINO, La Comunità romana di Tressanti, ed. in proprio, Bologna, 2004, e reperibile anche su “Irpino.it”, “Cultura e tradizioni”, qui soltanto riassumiamo l’ipotesi sull’esistenza di un ager romano urbanizzato, e ora sepolto, a Pratola di Tressanti.

Costruzione dell’ipotesi in base alla toponomastica. Nel 1911, fu trovato nel luogo da noi studiato un cippo funerario latino che si trovava, come è specificato nella notizia del ritrovamento, a “Piano di Anzano”, come si chiamava ancora Pratola allora (v. Notizie degli Scavi, fasc. 9°, anno 1911). Nell’espressione “Piano di Anzano” riteniamo che sopravvivesse almeno sino al 1911 l’antico nome della comunità romana: ANZANO, la cui formazione è ricostruibile con la derivazione da AGER ANTIANUS (“Antianus” come aggettivo prediale dal nome gentilizio latino “Antius”), per cui si ha “AGER ANTIANUS-ANTIANUS(con caduta per sottinteso di “ager”)-*ANZ(I)ANO-ANZANO”. Esempi presenti nel territorio del circondario (Ariano da Ager Arrianus, Corsano da Ager Curtianus, Savignano da Ager Sabinianus) e altri, che non riportiamo, sono tutti segnacoli di una profonda romanizzazione del nostro territorio. E per quest’aspetto occorre pensare anche alle vie romane che chiudono come in un triangolo il nostro territorio: la Via Appia che passava a qualche miglio da Anzano, nella vicina Valle dell’Ufita, e alla Via Traiana su un pendio della Valle del Miscano, il cui vertice è a Benevento.

Costruzione dell’ipotesi in base alla geografia e alla storia del paesaggio. “Pratola” corrisponde al nominativo neutro plurale latino “pratula”, “piccoli prati” in italiano. Nome probabilmente dato al luogo dopo l’abbandono della cittadina non si sa per quale evento catastrofico o di conquista distruttiva, quando ancora affiorava dal terreno il reticolo dei muri delle case definiti ortogonalmente in quadri dai decumani e dai cardi della centuriazione cittadina; e il terreno, per impossibilità di dissodamento con mezzi idonei da parte degli agricoltori prima del ‘700, era ancora destinato a pascolo.
Un reticolo di prati poi sepolto per effetto dei sedimenti accumulatisi con il tempo, di cui è rimasto soltanto lo strano nome. Il pianoro ha una forma quadrata con i lati di circa 800 m. Grande quindi a sufficienza per contenere l’area di una centuria urbanizzata, che era un quadrato di 710,4 di lato (una misura standard riscontrabile in molte colonizzazioni romane, specialmente nella pianura emiliana: Crevalcore, Cento, ecc) .
Pratola è ancora divisa in quarti da un incrocio ortogonale disegnato da vie di campagna probabilmente corrispondenti al decumano e al cardo massimi. L’orientamento delle due vie significativamente è, con qualche deviazione dovuta forse alla vicende colturali e ai cambi di proprietà, Est/Ovest e Nord/Sud.
Da un informatore locale abbiamo appreso che viene usato il nome “Macchia di Anzano” per indicare un costone che delimita il pianoro di Pratola. Probabilmente indicava il “saltus”, il “bosco in quota” che sovrastava l’area urbana e quella coltivata secondo la nota opposizione Ager/Saltus utilissima all’economia complementare degli insediamenti romani.

Una breve nota sul probabile fondatore di Anzano. Potrebbe essersi trattato di Antius Restio o del figlio C. Antius Restio. Il padre era un cavaliere del partito di Silla nella Guerra Civile (83-81 a.C.) e fu probabilmente ricompensato per la sua fedeltà con la nomina a senatore e la concessione di uno dei primi latifondi. Una novità nelle colonizzazioni romane, spiegabile forse con la necessità di affidare il controllo di una vasta zona del territorio irpino rimasto a lungo ostile a Roma a un partigiano fedele. Il latifondo si estendeva con molta probabilità da Pratola di Tressanti sino all’attuale Anzano di Puglia (prov. Di Foggia). La spiegazione dell’esistenza di due Anzani è un’altra storia. Certo è che ad Anzano di Puglia non sono state ritrovate tante epigrafi latine come nell’Anzano di Pratola (cfr. il Corpus Inscrptionum Latinarum, vol IX).