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Back Sei qui: Home Cultura Tutte le Notizie Italia Libri. Ricerca su Cassino, il primo libro di Mario Sorrentino. C'è anche l'Irpinia

Libri. Ricerca su Cassino, il primo libro di Mario Sorrentino. C'è anche l'Irpinia

mario sorrentino 600

Bologna - Un gruppo editoriale di Vicenza ha accettato di pubblicare il libro intitolato Ricerca su Cassino in cui l'autore, l'Irpino Mario Sorrentino, ricostruisce tra l'altro anche fatti avvenuti a Montecalvo nel 1943; libro che gli editori considerano un romanzo ma che in realtà è una ricerca di storia locale. Certamente anche romanzo di tipo storico in quei punti di ricostruzione verosimile a raccordo tra testimonianze, ricordi personali e documenti autentici. Mario Sorrentino è un autore del tutto sconosciuto in campo letterario, anche se ha

al suo attivo qualche pubblicazione di carattere divulgativo in materia di linguistica storica e testi teatrali, ragione per cui gli editori, a causa soprattutto delle difficoltà attuali dell'editoria letteraria in Italia e della mi totale estraneità dell'auotere a quel mondo, intendono ricorrere a un sistema di prevendita di almeno 120 copie, prima di decidere la stampa di alcune centinaia di altre copie da vendere nelle librerie; Un sistema che l'auotere non condivide pienamente. "Tuttavia ho accettato per non vedere vanificato questo tentativo, non frequente dalle nostre parti - spiega Mario Sorrentino -, di preservare la memoria di nostri avvenimenti anche drammatici che, a causa di una marginalità culturale e sociale non attribuibile a colpe di noi montecalvesi, rischiano di scomparire per sempre dalle menti e dai cuori della nostra gente. E credetemi che non ci metto alcuna ambizione di costruirmi una notorietà sia pure ristretta all'ambito paesano. Per noi di Montecalvo sono importanti altre cose, credo".
La Redazione di Irpino.it vi segnala i due brani estratti dal libro che loro hanno messo nel Web; e in più a leggere specialmente l'estratto che l'autore stesso  ci ha inviato. Parla una confinata politica dell'epoca fascista, restata a Montecalvo ad insegnare nelle scuole elementari, che ricorda la sua esperienza nella società paesana di quegli anni di trapasso epocale per Italia. 
Per leggere i brani pubblicati dall'editore occorre visitare il seguente sito Internet: http://www.caosfera.it/libri/ricerca-su-cassino

Il brano scelto da Mario Sorrentino è il seguente:

"... Intanto P.G. aveva ripreso a parlare.
"Vedrà che la sua condizione di confinata diventerà un titolo d'onore, quando sarà cancellata definitivamente questa brutta storia del regime. Anzi, ci scommetto, verranno fuori molti più confinati di quanti ce ne siano stati in realtà..."
"Si può cancellare la storia? E poi, io vorrò ricordarmene sempre."
"Sì, sì. Neanche io vorrò, né potrò dimenticare certe cose. Quello che ho visto laggiù nel deserto libico mi tormenterà sempre. Ma ora dobbiamo approfittare di questa strana calma per respirare."

Camminavamo ora in silenzio. Mi sforzavo di tenere il suo passo, bilanciandomi alla meno peggio sui zatteroni di sughero che avevo appiccicato io stessa ai miei sandali. Stavo zitta anche per l'affanno; e P.G. mi parlava di'respirare'...
"Che cosa voleva da lei il sagrestano?" Mi chiese di punto in bianco, fermandosi ai piedi della doppia scalinata che portava all'ingresso della chiesa. Scrollai le spalle e alzai lo sguardo alla facciata. Soltanto il portale e le due rampe d'accesso avevano una qualche grazia, in uno stile mezzo gotico, nella lunetta, e mezzo rinascimentale nelle rampe dagli ornamenti in rilievo nella pietra serena. Ormai corrosa. Nei fregi era ripetuto uno stemma nobiliare diverse volte.
"Questo duca aveva paura che non s'accorgessero subito di chi era la chiesa..."

... Entrammo in chiesa che si stava per chiudere. Il confratello di P.G., che aveva appena finito di officiare per due o tre vecchiette, si stava togliendo la stola. Un cenno a P.G. e fece scorrere il suo sguardo scrutatore su di me. P.G. mi strizzò l'occhio per dire di non farci caso, e mi portò al centro della navata principale. Di fronte a una cappella del lato destro mi fece notare che era di stile rinascimentale, mentre la chiesa nel complesso era di stile gotico...P.G. parlava a voce abbastanza alta come un vero cicerone, le beghine erano scivolate via dal portone principale ed egli voleva forse chiarire così al confratello curioso qual era il motivo per cui eravamo insieme.

Il giorno dopo mi ero seduta sotto l'olmo del convento, dopo aver riempito con l'acqua i miei recipienti dalla fontana pubblica. Ascoltavo il cicalare delle donne venute alla fontana per lo stesso mio motivo (andava lì non soltanto chi non aveva l'acqua in casa come me, ma anche chi l'aveva ma non poteva fare molto affidamento sul servizio regolare dell'acquedotto), quando vidi uscire sul sagrato del convento, che si apre proprio di fronte alla fontana, P.G. circondato da ragazzi e giovanotti vocianti. Indossava il saio e stentai a riconoscerlo subito.
"Stavano venendo a sedere anche noi sotto l'albero," mi disse lui quando mi fu vicino. "Io e i ragazzi vogliamo riprendere un'abitudine nostra di prima della guerra..."
"Cioè ripigliamo a fare le lezioni peripatetiche," disse serio un giovane paffuto, con occhiali e cravatta.
"Sì, sì, le peripatetiche, le peripatetiche," ripigliarono in coro i compagni. E ridevano da sbudellarsi.
"Signorina deve scusarli," mi fece P.G. quando si furono calmati, "ma credono di essere spiritosi. Sanno dell'ambiguità di questo termine e vogliono mettersi in mostra con lei, insinuando così che sono dei grandi eruditi... Parlando però più seriamente è vero che vogliamo riprendere a parlare, così, senza eccessivi formalismi, oltre che di materie scolastiche, di cultura, di politica e di... ogni cosa che venga a proposito, stando qui all'aperto; e anche passeggiando, se così ci piace. Però, però... e ora mi è venuta un'idea, vedendola." E rivolgendosi ai ragazzi continuò: "La signorina, mi hanno detto, era una ricercatrice, associata a non so che cosa di preciso, ma lei stessa ce lo potrà dire meglio, presso l'università di Torino. Per cui, se le chiedessimo..." e giratosi verso di me che gli sedevo a fianco, con vero entusiasmo proseguì guardandomi fisso negli occhi: "se vorrà, qualche volta che è libera dai suoi impegni scolastici, venire ad unirsi a noi qui sotto l'albero – non trova che l'espressione' sotto l'albero' può avere qualcosa di evocativo, non soltanto di quella famosa scuola peripatetica, ma che so? della cultura tradizionale delle nostre antiche comunità, cultura orale..."
Sorrisi, ma non potei fare a meno di osservare: " Sotto un albero, dove resisteva quella cultura che la chiesa combatté con ogni mezzo. Cultura pagana decaduta e lasciata in mano a donne semplici che, spesso presso fontane e sotto alberi come questo, se ne servivano per curare malocchi e..."
Sembrava preoccupato. "Be', anche l'aspetto etnologico non deve essere trascurato. Ma io mi chiedevo su che cosa potrebbe erudirci, oltre che sulle nostre fattucchiere?"
"Ce ne stanno ancora al paese," disse serio il ragazzo occhialuto, "potremmo intervistarle."
"Dio mio!" esclamò P.G., "che deriva mi sta provocando nei miei programmi formativi. Io pensavo a materie scolastiche, perché questi giovanotti stanno preparando esami; dovranno affrontare da privatisti commissioni di esaminatori cattivissimi verso studenti a loro sconosciuti..."
"A Torino studiavo filosofia, in cui mi stavo specializzando. "Crede che ai suoi ragazzi interessi la filosofia?"
"Altro che, altro che!" esclamò l'occhialuto. "I pre-socratici, Seneca, Cartesio..."
"Scemo," disse un suo compagno dandogli una gomitata, "io devo dare l'esame da ragioniere."
"La filosofia dovrebbe interessare tutti, " riprese la parola P.G. dopo una breve scaramuccia tra il ragazzo dagli occhiali e il tipo che voleva diventare ragioniere...

..."Avevo intenzione di raccontare qualcosa della mia guerra," disse P.G. quando tutti si furono accomodati intorno a noi due adulti, parte accosciati in terra e parte seduti sui gradini alla base dell'albero.
" Perché, avete sparato pure voi?" chiese a occhi spalancati il più piccolo dei ragazzi.
"Eh, ci è mancato poco, quando assistevo a qualche ingiustizia di un graduato più bestia degli altri," disse P.G. strizzandomi l'occhio. "Però armi a mia disposizione non ne avevo."
"Ma che ci siete andato a fare in guerra? I preti in guerra sono strani"...

..."In tutte le guerre si deve cercare di capire per colpa di chi sono scoppiate," dissi io. Ma a queste mie parole seguì un silenzio imbarazzato.
P.G. mi guardò, ma rimase in silenzio. Io mi sentii sola, ai piedi di una parete difficile da scalare. Fortunatamente i giovani hanno una reazione classica di fronte ad argomenti troppo complicati o polemici: cambiano subito discorso. Ripresero evidentemente quello interrotto al momento del nostro incontro sotto l'albero. C'era una situazione nuova in paese.
Era arrivato un reggimento di soldati italiani. Gli sbandati dell'armistizio riorganizzati a spese e con mezzi degli Alleati. Prima prigionieri, poi lasciati liberi di tornare a casa, ma quelli tagliati fuori dai paesi d'origine dalle due successive linee di fronte create dai tedeschi dopo lo sbarco degli Alleati a Salerno erano ora di nuovo soldati. E un po' di questi, quasi tutti del Nord e del Centro Italia, avevano preso alloggio nell'edificio delle elementari trasformando le aule, tra le quali anche la mia che avevo addobbato con tanta cura, in camerate. Erano arrivati da parecchi giorni e il paese intero li aveva adottati come figli e fratelli, tanto che quasi mai mangiavano nella caserma-scuola, le donne lavavano la loro biancheria, le ragazze andavano a spasso con loro. Riempivano il vuoto lasciato dai maschi paesani partiti in guerra e del cui ritorno nel segreto del cuore la speranza s'intiepidiva.
I ragazzi raccontavano al frate un fatto strano. Due giorni prima il banditore del comune aveva urlato in giro per il paese un bando per ordine del sindaco. Tutte le donne, sposate e non sposate, nelle cui famiglie venivano ospitati soldati, si sarebbero dovute presentare in municipio per sottoporsi a una visita ginecologica allo scopo di accertare se avevano o meno la sifilide.
Una vera rivolta scoppiò il giorno dopo e il banditore interrogato per ore, il sindaco che si strappa i capelli. Che cosa era successo? I famosi studenti a vita del bar avevano avvicinato il vecchio banditore all'uscita dell'osteria dove egli andava di solito per rinfrescarsi con un bicchiere di vino alla fine del giro serale, lo avevano fatto rientrare nel locale e lì l'avevano invitato a bere più di un bicchiere. Poi avevano tirato fuori un ordine scritto del sindaco, con tanto di firma e timbri del comune. Doveva fare un altro giro, uno straordinario, perché bisognava avvertire le donne del paese della loro convocazione su al municipio per la mattina dopo. Il bando era scritto sul foglio e loro erano stati mandati da lui dal sindaco in persona. Il banditore era partito un po' incerto sulle gambe ma sempre capace di usare tutta la potenza della sua voce di napoletano chissà come capitato a vivere in montagna. E nel silenzio della sera il suono della sua trombetta e le parole in italiano-napoletano enfatico erano entrate chiare e distinte da porte e finestre di tutte le case.
Queste cose raccontavano i ragazzi scompisciandosi di risate, ricordando la reazione di questa e quella donna, il banditore che voleva licenziarsi anziché fare la spia su chi l'avesse convinto di lanciare di quel bando, e che sbatteva sulla scrivania del maresciallo dei carabinieri il berretto e la tromba, ripetendo in napoletano: "Tèccavi 'a coppola, tèccavi 'a coppola!" P.G. mi guardava ogni tanto e non sapeva se ridere liberamente insieme a loro o starsene serio come facevo io."