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Back Sei qui: Home Attualità Tutte le Notizie Italia LA RABBIA DEGLI OPERAI. TREMILA IN IRPINIA AL CORTEO DELLA CGIL

LA RABBIA DEGLI OPERAI. TREMILA IN IRPINIA AL CORTEO DELLA CGIL

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Grottaminarda (AV) – C'erano più di tremila persone sotto il sole battente di una mattinata di fine estate insolitamente calda. Non bastavano le torride temperature ambientali, ad arroventare il clima ci sono un'economia che non gira e migliaia di famiglie che vedono nero per il futuro e rosso per la rabbia. Piazzale Padre Pio, solitamente "territorio" dei pullman di linea, è occupato dal camion palco allestito dalla CGIL. Risalendo il corteo dalla coda, si snodano, una per una, le incongruenze della globalizzazione che stanno tipicizzando la fase postindustriale nel mondo occidentale. In coda gli immigrati di

colore, giunti in Italia per cercare una vita migliore, attratti dai frizzi e lazzi della TV patinata e finiti in piazza per rivendicare il loro diritto ad esistere, con la differenza che nei paesi di origine non vedono ogni minuto le vetrine colorate e scintillanti con l'offerta di tanti prodotti da comprare. Poi un gruppo di ragazzi della CGIL, insieme agli immigrati gli ultimi di "lusso" di una società che assomiglia ad un mazziere che rimescola continuamente le carte, ma non le distribuisce ai nuovi giocatori. "Lavoriamo con i contratti a progetto – è l'amaro sfogo di un giovane laureato -. Non abbiamo nessuna certezza per il futuro lavorativo, non parliamo di quello pensionistico". Ma se qualche giovane il contratto a progetto ce l'ha, altri non sono altrettanto "fortunati". Siamo in un territorio dove la disoccupazione giovanile raggiunge punte elevatissime ed alimenta la nuova emigrazione intellettuale. Risalendo il lungo serpentone umano, incontriamo i lavoratori della "Tecno Meccaniche Moderne", poi quelli della FMA. Sono loro i prossimi che, stando alle voci in circolazione da un po' di tempo, potrebbero finire nella morsa delle delocalizzazioni speculative. Poi iniziano a comparire le prime magliette blu con la scritta "Irisbus". La scelta di Grottaminarda come sede del corteo irpino, infatti, non è casuale. I dipendenti dell'impianto che produce autobus sono già da tre mesi alle prese con un'estenuante lotta sindacale per cercare di salvare l'ultimo stabilimento italiano che costruisce pullman per il trasporto urbano. Una bella gatta da pelare che, aldilà delle valutazioni economico-strategiche sull'opportunità di perdere un intero settore di produzione, graffia e affonda le unghie nella pelle delle famiglie dei lavoratori. "Sono tre mesi che non prendiamo lo stipendio" è lo sfogo di un giovane operaio in sciopero. Tradotto in vita pratica equivale a dire: siamo alla fame. Difficile immaginare che una giovane coppia monoreddito con figli possa ancora resistere a lungo, specie se con un mutuo casa da pagare. Qui siamo al muro contro muro. "Mamma" Fiat vorrebbe cedere, i lavoratori non sono d'accordo e il probabile acquirente non sembra avere le idee molto chiare. Lo stabilimento Fiat della Valle Ufita, lo strano caso del socialismo democristiano, è nato da un'idea del sindacato (la FIOM), subito sposata da una politica di maggioranza che aveva la necessità elettorale di contrastare il più grande Partito Comunista dell'occidente proprio sul suo terreno: gli insediamenti industriali nelle aree a maggiore tasso di disoccupazione. Una soluzione ibrida che tale è rimasta producendo i risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti: metodi di insediamento da regimi socialisti in una economia di mercato, con proprietà in mano ai privati ed un unico committente: lo Stato. I ragazzi del collettivo Virus e di Rifondazione Comunista. insistono sulla necessità di statalizzare, cioè rendere Statale una fabbrica che possa fornire di autobus tutti gli Enti che fanno trasporto pubblico. Un'idea affascinante, economicamente azzeccata, visto che il trasporto pubblico, oltre tutto, è sotto attacco in quanto servizio "in perdita". Un percorso, però, ricco di ostacoli. Primi fra tutti: la mancanza in Italia di una struttura di progettazione, fondamentale per introdurre innovazione tecnologica; e le italiane maniere. Lo Stato che produce autobus per lo Stato, in Italia potrebbe correre il rischio di diventare un ricettacolo di avventurieri della politica, più che un fiore all'occhiello dell'industria nazionale. Siamo pronti sul serio a cambiar metodo?. E' pronta la democrazia italiana ad entrare in un fase matura e produrre con serietà innovazione? A Giudicare dal teatrino nazionale ci sarebbe da giurare di no, ma i moti dalla base sono ribollenti e potrebbero diventare impetuosi. Al centro del corteo uno striscione "good bye made in Italy" tenuto dagli instancabili operai della Irisbus che hanno aderito in massa al corteo, senza tener conto delle tessere sindacali. Coloriti gli slogan che avevano come unico bersaglio il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Il mondo operaio si sente abbandonato a se stesso da una politica che da tempo ha smesso di occuparsi dei problemi reali del Paese. Di fronte alla globalizzazione, infatti, l'Italia sembra rimasta immobile, non solo nell'economia, ma anche nel dibattito intellettuale. Siamo ad un incrocio della Storia e dell'Economia, un punto di svolta, ma nessuno discute su quali strade imboccare, e sulle nuove destinazioni da raggiungere. Tutti sono impegnati a tentare di risollevare un tipo di economia, clinicamente morta, per la quale è già suonato il "requiem". Se in Irpinia l'industria crolla, quali saranno gli effetti reali sull'occupazione? Come si recuperano quei posti di lavoro?.
L'industria in occidente è destinata a perdere il suo peso politico perché nei prossimi anni ridurrà progressivamente gli occupati. Questo per effetto della delocalizzazione, oppure della introduzione massiccia di robotica nelle catene di produzione italiane per tenere testa ai bassi costi dei prodotti del sud-est asiatico. Nell'uno o nell'altro caso, il risultato non cambia: equivale a riduzione degli occupati. Nel settore pubblico si parla sempre di più di razionalizzazione e riduzione degli occupati. Di fronte a questo la politica, a tutti i livelli, non riesce ad intavolare il dibattito sulle nuove opportunità, sul come garantire lavoro fino alla pensione a chi oggi è un operaio industriale e, sopratutto, dove impiegare i giovani che sono stati formati a livello universitario ma che per sbarcare il lunario partecipano ai concorsi per operatori ecologici. Di chi è la responsabilità di questo corto circuito?
Man, mano che risaliamo le magliette blu aumentano fino a divenire le monopoliste della testa del corteo. Intorno alle 11 e 30 arriva l'onorevole Franco Barbato dell'Italia dei Valori. Il corteo si sta per avviare verso la fine, quando si decide di passare davanti al casello autostradale. Una deviazione non prevista che mette in agitazione le forze del servizio d'ordine. Proprio a ridosso dei gabbiotti solitamente occupati dei casellanti, poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa sono schierati a fare da barriera umana per impedire l'ingresso in autostrada. Dietro di loro i blindati fanno da seconda linea. Dall'altro lato del casello, la coda di veicoli arriva sulla Napoli Bari con qualche automobilista che lancia invettive contro i dimostranti. Il corteo arriva davanti alle forze dell'ordine, staziona per dieci minuti, e ritorna indietro. "Sarà per la prossima volta" dice la voce dall'altoparlante degli organizzatori. Un'affermazione tra il serio e lo scherzoso ma c'è da crederci perché l'autunno, sul piano sindacale, si annuncia, non torrido, ma rovente. Intanto, visto che siamo in terra di Tratturi, parafrasando D'Annunzio si potrebbe dire: settembre è tempo di cambiare.