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Vita di San Pompilio. Lettera aperta a don Teodoro Rapuano

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Caro Don Teodoro, la ringrazio per avermi inviato la "Biografia di San Pompilio M.Pirrotti" di P. Serafino Perlangeli SP. L'ho letta con interesse, ma non posso non rilevare che neanche questa biografia contiene una informazione soddisfacente sui fatti e sulle motivazioni che provocarono le disavventure, per me vere e proprie persecuzioni, al nostro santo da parte dei

superiori e altre autorità della Chiesa. Di certo si capisce, in modo però soltanto generico, che questi ultimi non tolleravano i suoi comportamenti quale confessore, predicatore e soprattutto quale educatore disponibile anche verso i diseredati, a Napoli e altrove. Questa genericità però non mi sembra che sia imputabile in modo principale al Perlangeli, il quale, peraltro, ha fatto un bellissimo lavoro come editore delle lettere montecalvesi di San Pompilio. Molto probabilmente la genericità su questi aspetti rilevantissimi nella vita di San Pompilio è da attribuire essenzialmente alle fonti documentarie così come sono disponibili e che appaiono molto probabilmente manchevoli, o addirittura reticenti, riguardo alle vere motivazioni a giustificazione dei trasferimenti strani e delle forti limitazioni all'apostolato del santo. Un superiore si raccomanda in una lettera che egli sia sempre accompagnato per strada da un fidato confratello - Che cosa si temeva? Che facesse delle pazzie "coram populo", o che?. Mettere in primo piano quali fossero le reali accuse mosse al santo potrebbe, secondo me, far risaltare le sue autentiche virtù soprattutto come educatore di giovani. 
Passo ora a una osservazione abbastanza formale ma che non posso esimermi dall'esprimere. A pag. 659, delle "Disputationes...", n.17 del Dicembre 2009, che mi è giunto soltanto pochi giorni fa, P. Perlangeli incorre in un'etimologia completamente infondata a proposito del nome "Pompilio". Egli scrive: "Assunse da religioso il nome "Pompilio" (in ricordo di suo fratello Pompilio...) che significa in greco - colui che è mandato". Ora, senza andare in Grecia, come accadeva in molte famiglie del notabilato meridionale patite dell'antica Roma, la scelta di quel nome poteva essere stata fatta semplicemente ripescando quello del secondo re di Roma, Numa Pompilio, rifondatore insieme a Romolo della città, dopo il mitico episodio del Ratto delle Sabine, e originario della Sabina. I Sabini erano un gruppo imparentato etnicamente e culturalmente con i Sanniti, con i quali, oltre la religione (e il dio SABH-), condividevano in una forma dialettale leggermente diversa la stessa lingua nazionale, denominata dagli studiosi Osco-Umbro. La forma latinizzata POMPILIUS corrispondeva a quella latina QUINTUS. L'ordinale latino QUINTUS derivava dal numerale QUINQUE ("cinque"), ma POMPILIUS si rifaceva al numerale Osco POMPE (o all'Umbro PUMPE) che voleva dire anch'esso "cinque". Per cui chiamare un figlio Quintus o Pompilius voleva dire o che era nato nel quinto mese del calendario italico o che si trattava del quinto figlio della famiglia. I riscontri si hanno per l'etimo di Pompei (POMPAIOS, in Osco), per i nomi Pompeo e Ponzio (i Ponzi erano una famosa "gens" sannita-irpina) Pompei fu battezzata così dai Sanniti, quando cacciati da lì gli Etruschi riunirono 5 villaggi, o curie, in una sola comunità. Per cui Pompei voleva dire "Cinque villaggi". (v. DEVOTO, "Gli Antichi Italici", Firenze 1931, p. 177.)
Grazie ancora,
suo Mario Sorrentino

P.S. Mando questa nota anche alla redazione di Irpino.it, sperando che di queste questioni possano parlare anche altri, alimentando così l'interesse intorno alla figura di San Pompilio nella sua ammirevole dimenzione di uomo "illuminato" alle prese con superiori retrivi.